Lasciarsi cullare da un ritmo ipnotico, abbandonarsi ad antiche memorie dal sapore orientale, perdersi in un luogo dell’anima dove Oriente e Occidente si confondono e dialogano.
È dedicato al mediterraneo l’ultimo CD del chitarrista varesino Claudio Farinone, un viaggio compiuto insieme alla fisarmonica di Fausto Beccalossi, all’oud (il liuto arabo) di Elias Nardi e ai clarinetti, sax e percussioni di Max Pizio.
Insieme sono il quartetto Aktè ed “Aktè” semplicemente è il titolo di questo suggestivo lavoro discografico registrato lo scorso Marzo a Lugano negli studi della Radio Svizzera italiana e pubblicato dall’etichetta Visage.
In musica, il Mediterraneo è diventato in questi ultimi trent’anni un mito, uno spazio aperto alla sperimentazione e alle contaminazioni e a volte anche una semplice etichetta sotto la quale riunire, magari un po’ alla rinfusa, elementi eterogenei nel segno degli intrecci culturali cari alla cosiddetta “World Music”. Il rischio è quello di risolvere il tutto, con una certa genericità, in rassicuranti atmosfere malinconiche, insomma di fare della musica di sottofondo.
È un rischio però, che i quattro dell’Aktè non corrono minimamente, perché la loro esperienza della World Music, ambito che del resto Farinone conosce bene da grande ammiratore di Ralph Towner, a cui ha dedicato un disco solistico nel 2103, è prima di tutto esperienza di un viaggio e una scoperta.
Queste interpretazioni sono una rivelazione per l’ascoltatore, perché nulla ha il sapore del “già sentito”, nemmeno una pagina oggi famosissima come la canzone tradizionale macedone “Jovano Jovanke”.
Tutto insomma, è filtrato dalla sensibilità di quattro musicisti sempre in sintonia tra loro, capaci di inventarsi – perché oltre un certo limite “l’interpretazione” diventa “invenzione” – un viaggio libero dai vincoli con un tempo e uno spazio definibili storicamente. La loro è evocazione, più che ricerca del pittoresco, scavo nella profondità della musica più che brillante esibizione di tratti caratteristici, come rivela anche l’attenzione all’aspetto del timbro, con una predilezione per una timbrica piuttosto scura (vengono utilizzati, tra gli altri, una chitarra baritona e un clarinetto contrabbasso).
È forse questo il motivo per cui non si avvertono fratture tra brani della tradizione macedone e catalana, tra canti armeni e composizioni degli stessi autori-interpreti, da “Albaicin” di Claudio Farinone a “Dimitrish” di Max Pizio fino alle pagine di Elias Nardi. Ed è forse per questo che ad ogni ascolto il CD sembra rivelare qualcosa di nuovo.
(La Prealpina – 8/10/2017)